53a Introdotta dal Segretario del Rotary Club, Francesco Bagorda, la serata è stata aperta dai saluti del vicesindaco Gianleo Moncalvo, e dei rappresentanti dei movimenti organizzatori: Giuditta Di Leo, del Presidio di Libera; Gianfranco Mazzotta, del Circolo della Stampa; Lorenza L’Abbate,dell’Inner Wheel Fasano; Angelo Di Summa, del Rotary Club Fasano. Presente anche Gianluca Sirsi, capitano dei Carabinieri della Compagnia di Fasano. Sullo schermo gigante scorrevano immagini della marcia/testimonianza nazionale svolta da Libera a Latina, anche con la parte-cipazione del gruppo fasanese, sabato 22 marzo scorso, giornata dedicata al ricordo di tutte le vittime della mafia. Tra le immagini anche una citazione di don Ciotti: “Abbiamo bisogno della verità, perché senza verità non c’è giustizia”: una affermazione che è stata il punto di avvio e il fil rouge di tutta la serata. “Il nostro –ha detto il Presidente Di Summa- è un Paese caratterizzato ancora da vaste zone d’ombra, in relazioni alla troppe stragi, di ogni tipo e matrice, che più volte ne hanno messo a durissima prova la democrazia”. La verità è una domanda che viene dalla società civile come valore etico, ma purtroppo la verità possibile è solo quella accertabile dalla ricerca giudiziale e consacrata nelle sentenze della Magistratura. Una verità difficile da trovare e, tuttavia, sempre relativa, come dimostrato proprio dal caso della strage di via D’Amelio a Palermo, dove perse la vita il giudice Borsellino. Qui sentenze giunte fino al terzo e definitivo grado della Cassazione, si sono poi rivelate fallaci e depistate, in forza di rivelazioni manipolate di presunti pentiti di mafia. Solo la successiva revisione del processo ha consentito la liberazione di undici innocenti ingiustamente condannati e la condanna di personaggi prima rimasti in libertà. Un caso giudiziario clamoroso, reso possibile dalle successive accurate rivelazioni del pen-tito Gaspare Spatuzza, che ha riportato all’attenzione dei più un altro aspetto estremamente problematico della ricerca della verità in un contesto di lotta alla mafia: quello, appunto, del ruolo dei c.d. collaboratori di giustizia.Tutto questo magma di pro-blematicità e di sconcertante attualità è al centro dell’indagine della Montanaro e del suo libro “La verità del pentito”, un testo civilissimo e prezioso, che apre squarci importanti sulla nostra storia recente e che tutti dovrebbero leggere. Gli stessi temi, ovviamente, sono stati materia di approfondimento nella serata di venerdì scorso, con il numerosissimo pubblico atten-tissimo e fortemente coinvolto fino alla fine da quando andavano svolgendo, con competenza, esperienza sul campo e conoscenze di primissima mano, i relatori. Il libro della Montanaro, che si avvale della presentazione di Pietro Grasso, già Pro-curatore nazionale antimafia e attuale Presidente del Senato, si incentra proprio attorno alla figura di Gaspare Spatuzza, che l’Autrice è riuscita più volte ad incontrare e ad intervistare in esclusiva in carcere. Gaspare Spatuzza, feroce killer di Cosa Nostra, aggregatosi alla famiglia mafiosa dei Graviano di Brancaccio per spirito di vendetta per l’uccisione del fratello, da lui attribuita ad una famiglia rivale, è stato coinvolto in quaranta omicidi, compreso quello di don Pino Puglisi, ed è stato protagonista, come componente del “gruppo di fuoco”, della stagione dello stragismo mafioso degli anni 1992-1993. Arrestato nel 1997, Spatuzza inizia un personale processo di pentimento e di ravvedimento, legato ad un percorso di conversione religiosa, che lo porterà dopo alcuni anni, nel 2008, a collaborare con lo Stato, senza chiedere nulla in cambio, e a fare chiarezza su aspetti importanti di un periodo storico drammatico per l’Italia e angosciante per la nostra democrazia: quello caratterizzato, appunto, dall’escalation stragista e terroristica decisa dall’orga-nizzazione mafiosa con attacchi portati allo Stato e finanche al suo patrimonio artistico sull’intero territorio nazionale (Roma, Firenze, Milano). Tuttavia Spatuzza, che, per quanto legato ai Graviano da un rapporto di confidenza e fiducia, non era un capo, non ha potuto chiarire tutto, né, per esempio, ha potuto fornire risposte decisive a quella domanda, - una delle tante che Dodi Mancini, con la lucidità e il disincanto del giornalista di razza, ha ripetuto agli ospiti-: perché nel 1994 la strategia stragista si bloccò? La domanda è un’altra di quelle che attendono ancora una risposta certa, anche se è difficile non ricordare gli eventi che proprio in quell’anno intervennero in Italia a modificare l’assetto politico, aprendo forse attese di possibili vicinanze o prospettive trattativistiche. Non è certo un caso se Gaspare Spatuzza abbia deposto anche nel processo d’appello contro il senatore Marcello Dell’Utri, uomo di Publitalia e Fininvest, cofondatore con Silvio Berlusconi di Forza Italia e artefice del successo di questo movimento proprio nelle Politiche del 1994, condannato nel 2013 a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa con una sentenza che ha disegnato per lui un ruolo di mediazione tra mafia e apparati politico-imprenditoriali al potere. Attende ancora conclusioni giudiziali lo scenario, collegato, di una trattativa fra organi dello Stato e Mafia, nella prospettiva dello scambio tra la fine delle stragi e la modifica della legislazione sui collaboratori di giustizia e sul regime carcerario duro dell’art. 41/bis Su quest’ultimo punto il Procuratore Dinapoli ha ribadito con forza come nel rapporto con la mafia non ci possa essere spazio per scelte di realpolitik: la mafia e lo Stato sono antitetici per definizione e l’unica possibilità per lo Stato è quella di lottare il fenomeno mafioso senza compromessi e fino alla sua sconfitta. Per gli organi dello Stato e per ognuno di noi, anche semplici cittadini, non c’è altra scelta, se non quella di campo: o si sta da una parte o si sta dall’altra. L’imperativo, che presuppone anche il rispetto per chi in questa lotta ha pagato con il sacrificio della propria vita, vale ancor di più se si pensa alla abilità della mafia di sapersi mimetizzare e talora sommergere all’interno del sistema politico, istituzionale, sociale e produttivo. La pericolosità della mafia – ha ribadito Giovanna Montanaro - è nella sua capacità, forte radicata e diffusa, di controllo e di governo del territorio e questa capacità non viene meno, anche quando l’organizzazione criminale compie la scelta strategica di fare silenzio per alcuni periodi e di non ammazzare, magari per non creare allarme sociale e raggiungere più agevolmente i suoi obiettivi. Nella stessa prospettiva si deve valutare il tema del fenomeno del pentitismo. I c.d. collaboratori di giustizia, quelli stessi che hanno depistato la giustizia nella ricerca della verità su via D’Amelio, ma anche chi (con Spatuzza) ha consentito di riscriverne la verità, costituiscono una risorsa importante, spesso fondamentale, ma delicata, per le indagini verso un mondo ermetico, come quello delle organizzazioni mafiose. Spesso il pentito parla sperando in premialità (non è il caso di Spatuzza), ma non si deve dimenticare il vero prezzo che egli paga in una quotidianità angosciante che dura tutta la vita: la perdita dell’identità, la solitudine e l’emarginazione sociale, la rottura con la famiglia e con l’ambiente di appartenenza, il rischio onnipresente di essere ucciso. Forse anche per questo oggi il fenomeno è in calo. Ci vogliono ragioni vere e forti per una scelta autentica di pentitismo: ragioni che devono riportarsi alla scelta di campo. “Nella mia esperienza di magistrato, ho avuto a che fare con pentiti, – ha raccontato il Procuratore Dinapoli - ma in nessun momento il rapporto con loro si è discostato dal valore che io rappresentavo lo Stato e che la richiesta di ravvedimento comportava appunto il passare dalla parte dello Stato”.